E dopu li cavuliceddi, ci voli ‘na cota di “burranii”
Il sottotitolo recita testualmente “E dopu li cavuliceddi, ci voli ‘na cota di burranii” (ossia, traducendo dal siciliano, “E dopo il cavoletto selvatico, ci vuole una bella raccolta di Boragine”). E non poteva mancare una sommaria, se non frettolosa, descrizione di un’altra “verdura dei poveri” (beh, mica tanto!), la nostra famosa Burrania, ossia la Borago officinalis, una specie che appartiene alla famiglia delle Boraginaceae. Si tratta di un’erba annuale abbastanza comune in quasi tutte le campagne europee, soprattutto nei terreni incolti, siano essi ben drenati, scarsamente fertili, soleggiati od ombreggiati. Ha un’altezza media di cm. 60 ed è facilmente riconoscibile per le sue foglie ovali di un verde intenso, gli steli pelosi – direi, pungenti al tatto – e quei minuscoli e prodigiosi fiori blu a forma di stella (talmente peculiare, quest’ultimo dettaglio, che, in certe località, la pianticella viene chiamata “fiore di stella“). La Burrania, erbetta dalle proprietà prettamente emollienti e rinfrescanti, è stata, nei secoli e tuttora, considerata un popolare rimedio ad innumerevoli malanni dell’uomo: influenza, infiammazioni dei bronchi, febbri ed esantemi cutanei, disturbi intestinali e, a quanto pare, è un corroborante nella cosiddetta montata lattea. Poi, chi più ne ha, più ne metta. Quindi, meglio parlarne come di un’autentica panacea. Tutta la pianta contiene potassio, calcio, sali minerali e sostanze mucillaginose. Tuttavia, chiedo venia, ma a me non compete l’approfondimento botanico e qui mi limito soltanto a ricordare come, dalle nostre parti, la Borragine o Boragine (o, ancora, Borragine) sia ritenuta un “erba medicamentosa amica”: c’è pure chi la consuma a iosa in abbinamento con altre erbe spontanee eduli (vedi i “cavuliceddi“) o, addirittura, per preparare un bel piatto di “pasta cu i burranii“. Anche stavolta la fantasia culinaria delle nostre grave massaie s’impone. Personalmente, invito a provarla nella realizzazione di uno “spartano” ma ottimo risotto. Insomma, raccoglietela nella bruma autunnale, ma abbiatene debita cura nei vostri fondi rurali.
Raccomandazioni
Non confondete la Boraggine con la Mandragora che è velenosa. La Borragine è un’erba annuale, molto comune ovunque, ed ha foglioline ruvide, ispide, con piccoli peli che sembrano pizzicare la pelle al tatto; i suoi fiori sono penduli ed hanno una caratteristica forma a stella azzurrognola. Ovviamente, è bene farne un uso moderato e non smodato. La Mandragola (Mandragora officinarum – Atropa mandragora), invece, che, a prima vista, può apparire simile, è un’erba spontanea e perenne che frequenta i luoghi umidi. Ha foglie piuttosto grandi e carnose di color verde chiaro, che si ramificano fin dalla radice che è un fittone, abbastanza poderoso. E, ancora, basta guardare bene i fiori di quest’ultima pianticella per accorgersi che essi emergono dal centro delle foglie e sono di un colore azzurro che accenna la violaceo. Ora, detta Mandragora è velenosa e contiene una buona quantità di alcaloidi come scopolamina, atropine e ioscina. Nell’antichità, la pianta veniva raccolta ed utilizzata a scopo lenitivo, analgesico, anestetico e, a quanto pare, per certe proprietà afrodisiache e allucinogene. Statene alla debita distanza.
NON RACCOGLIETELA, E’ NOCIVA ALLA SALUTE. Ricordatevi che, secondo la leggenda, la famosa e temibile maga Circe faceva uso della Mandragora per mutare gli uomini in porci. E lo seppe bene l’eroico Ulisse. Insomma, la raccomandazione è d’obbligo: se non siete sicuri di conoscere le erbette spontanee, è meglio lasciar perdere! Fatevi consigliare o, meglio, accompagnare, da un persona esperta che sappia il fatto suo.
Salemi, 10 gennaio 2019
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