Cronaca dalla zona rossa di Salemi: 37°giorno

Sto scrivendo queste due righe dal mio terrazzo di casa, proprio nel momento in cui il sole è alto, nel punto più elevato della sua parabola diurna. Ho la strana sensazione di essermi trasformato in un ramarro desideroso di crogiolarsi sotto i benefici raggi solari. La luce,  che avvolge con un caldo abbraccio ristoratore, sembra parlarmi di speranze per una nuova alba dell’uomo, pare proteggermi dal morbo insidioso che si può annidare ovunque, là fuori. Forse, non mi ero mai fermato abbastanza come adesso ad assaporare il bene incommensurabile delle “cose” apparentemente banali, semplici, ma che, in questo momento buio, appaiono essenziali per ognuno di noi. In realtà, erano lì, al loro posto, da tempo immemorabile, in sé e per sé fondamentali, lo sono sempre state, e non lo sapevamo, magari facevamo finta di non saperlo, forse non ce ne accorgevamo. Così, improvvisamente, le riscopriamo, valorizzandole con inusuale  e maggiore pregnanza di significato. E l’inanità del superfluo, dell’eccessivo e tronfio benessere, della spocchia sempre e comunque, ora ci presenta un conto, a dir poco,  salato. Tra un uso smodato e quasi fanciullesco di mattarelli e farina, la percezione, che, per certi versi, ci appaga è il sorriso accennato, ma compiaciuto di un gradito ritorno alle origini, alla fonte primaria del senso autentico di ciò che ci circonda, a dispetto della nostra recente, passata, presunta o reale cecità. D’incanto, adoriamo il sole, ci assale  una struggente nostalgia per i quattro salti che facevamo all’aria aperta, per gli spazi consueti che ci arrecavano noia, per i soliti luoghi che frequentavamo  fino a quella fatidica data del 5 marzo dell’anno bisesto 2020;  ci mancano, tanto da toglierci il fiato, le capatine a mare, le grigliate del Primo Maggio in campagna, l’inafferrabile primavera con l’esplosione trionfante e impudica di colori e di fauna in fregola. In compenso, ci siamo affrettati a recuperare l’annoso divario di coccole, di  pause mai fatte, perseguiti come eravamo dal tran tran quotidiano,  il poter stare in casa a curare le ferite dello stress e, perché no, gli affetti familiari. Tuttavia, sulla ridda infinita di immagini che compongono il nostro trailer,  girato sulla scena del mondo malato in cui siamo calati, prevale quell’inaspettato ancorarsi alla vita, preziosità assoluta, l’imprescindibile radicarsi ad ogni singolo nostro respiro, quasi fosse l’ultimo a nostra disposizione. Insomma, la lista delle “mancanze” si allunga, si allunga a dismisura. E’ il 37° giorno di confinamento in casa, a far data da quel che, ormai, chiamiamo, scimmiottando i social, i commentatori televisivi, “lockdown”. Ma che significa il vocabolo? Ah, ecco, “blocco totale” (non potevamo definirlo in quest’ultimo modo, nooo, figuriamoci!). Qui, a Salemi, splendida città incastonata nella valle del Mazaro, d’un tratto, si è cristallizzata la diffidenza in un metro di distanza, il calore umano apparentemente si mostra come congelato in un batter d’occhio. Siamo segregati in casa, in un tempo rallentato e distaccato dalla realtà, in attesa di uno spiraglio di tregua, di una notizia, di un segnale che possa rassicurarci circa la tanto agognata ripresa della normalità. Però, i continui “bollettini di guerra” ci mettono in corpo un’angoscia inenarrabile: le testimonianze dei sopravvissuti al Covid19 sono raccapriccianti, così come lo sono le storie personali che danno la misura del repentino distacco dagli affetti subìto dagli ammalati, il loro calvario e la tragicità degli eventi che commuovono pure chi ha il pelo sullo stomaco. Già, bisogna avere uno spesso pelo sullo stomaco per arginare il martellamento delle notizie niente affatto, liete che, in questi giorni, le nostre orecchie avrebbero preferito non udire. Ma non è giusto, non si può stare muti o sordi al cospetto di così immane ecatombe. D’altronde, anche nella “zona rossa” di Salemi, l’atmosfera si è fatta greve, pesante e le sporadiche (speriamo vivamente che lo siano  fino a un contrordine!) occasioni d’uscita della gente hanno le sembianze spettrali e silenziose delle mascherine che celano i volti, ormai, irriconoscibili, anonimi. Qui, il sole è sempre più infuocato e la città è deserta, sospesa in un biancore imbarazzante, inquietante. Interrompo per un attimo… il solito altoparlante, da cui fuoriesce una gentile, ma, al contempo, imperiosa voce femminile, informa ed intima “E’ fatto divieto alla popolazione di uscire di casa ecc. Evitare gli assembramenti presso i supermercati, le scorte e i rifornimenti alimentari saranno garantiti. I controlli  delle forze dell’ordine saranno intensificati”. Sì, è come trovarsi sul set di un film bellico o nel bel mezzo di un’incursione aerea quando l’angosciante suono delle sirene ammoniscono i malcapitati a tapparsi nei rifugi sotterranei, o, ancora, un surreale coprifuoco che occorre accettare per salvarsi la pelle. E mentre la situazione economica s’ingarbuglia a discapito delle fasce sociali ancor più deboli o di settori produttivi che non possono permettersi prolungate sospensioni dall’attività, ovunque, viene pronunciata la solenne promessa condivisibile “Cambieremo in meglio, rinasceremo, risorgeremo dalle ceneri“. Ho atteso un po’ prima di scrivere sul mio blog, era troppa la mia apprensione per le sorti della mia amata Italia, ma, in questo momento, dubbiosamente mi chiedo: ”Si può riuscire nel proposito di modificare, almeno qualcosa o taluni aspetti, in meglio, lungo questa via acciottolata, se non pietrosa, e, in fondo,  misera, squallida esistenza?” C’è un detto delle mie parti che sentenzia “Cu nasci tunnu, un po’moriri quatratu”, che, in una traduzione dal siciliano, significa, alla lettera, “Chi nasce rotondo, non può morire quadrato”. Notevole metafora sull’immutabilità della condizione umana. Certo, va da sé che la lezione che ci ha impartito lo stramaledetto Coronavirus è stata alquanto cattedratica, concretamente severa.  E’ fuor di dubbio che modificheremo le consolidate abitudini riguardanti la prossimità sociale. Non credo, però, che si possa  mutare dall’oggi al domani, troppo radicate sono le contraddizioni di noi Sapiens del Terzo Millennio, ma non oso banalizzare una speranza in fondo al cuore. Su, incamminiamoci, passo dopo passo, verso la ricostruzione morale di noi stessi, almeno  proviamoci!

Gioacchino Di Bella

Dalla zona rossa di Salemi, 11 aprile 2020

37° giorno di “confinamento” in casa

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