Forme artistiche contemporanee: i muri parlanti
L’arte appartiene al mondo, non è appannaggio di pochi eletti o di taluni gruppi sociali. Senza alcun dubbio, è’ una pura e libera espressione della sensibilità dell’uomo, della sua intrinseca valenza, non può e non deve essere soggetta a costrizioni gratuite, patisce l’asfissia in regime di coercizione fisica e spirituale. Anzi, è essa stessa spirito indomito. Certamente, il messaggio di ogni opera veicola l’essenza dei paesaggi interiori, gli incalcolabili punti di vista, le frazioni di disagio umano o scintille di edificazione morale oppure chiare denunce del presente invivibile, sofferente e degli squallidi contesti vitali, ad ogni essere pensante. Almeno ciò è quel che penso io. Ora, in questa nostra età di convulsi cambiamenti, di incertezze materiali, l’artista pretende visibilità, anzi rivendica la strada, gli spazi pubblici frequentati e frequentabili, addirittura i muri degli edifici, il grigio del cemento che oscura la luce del giorno. Così le realizzazioni si trasformano in incitamento emotivo, coinvolgimento attivo, passione e tormento nel cuore di chiunque si soffermi ad ammirarle o detestarle. Così, le città diventano il set ideale per le performances della cosiddetta Street Art, o, per dirla con l’omologo italiano, Arte Urbana. Ovunque spuntano icone, slogan, buffe caricature dei protagonisti dei fumetti, personaggi sarcastici che irridono la realtà ingabbiata da schemi e stereotipi, affiora nel bianco sporco del muro una materia grottesca che rende ancor più ossessiva la deformazione dei sogni. Ad ogni modo, tutte costituiscono “forme artistiche” che lanciano sguardi sinistri ai signori della cosa pubblica incapaci e consapevoli dell’incuria dei luoghi che, un tempo, furono spesso, di una bellezza sontuosa. Di conseguenza, il manifestarsi della Street Art è come una severa occhiataccia che fa storcere il naso ai benpensanti inclini e assuefatti ad un silenzio ingombrante e che bollano, con eccessiva frettolosità, quelle gustose gigantografie come insignificanti parvenze di un’arte minore, non ufficiale, perlopiù sacrilego imbrattamento degli arredi e degli immobili urbani. Tuttavia, ogni segno del passaggio dell’uomo non è trascurabile, va decodificato e classificato in onore di un sempre possibile miglioramento della sua genia. In realtà, per quanto riguarda il Bel Paese, esistono delle salate sanzioni per chi osa devastare o deturpare i beni pubblici o individuali. D’altronde, è proprio l’articolo 639 del Codice Penale “Deturpamento e imbrattamento di cose altrui” a perseguire e punire gli artisti dalla mano facile (o, meglio, dalla vernice invadente!). Proprio quegli artisti che si ostinano a “personalizzare”, senza alcuna autorizzazione, con impertinenti ghirigori di colore, con autentiche brutture di ogni genere, i monumenti secolari, i treni sui binari, i mezzi di trasporto pubblici e privati o, in generale, i beni immobili dei centri storici delle metropoli o le facciate anonime delle degradate New Towns. Le multe comminabili possono finora raggiungere il tetto massimo di €. 10.000 e la pena di reclusione, nei peggiori casi, fino a due anni. A tale proposito, non mancano gli scempi perpetrati da presunti “artisti” sulle vestigia della nostra o altrui storia. Essi non hanno, neanche lontanamente, niente a che vedere con la sfera dell’arte e si possono ben qualificare come criminali allo stato puro. Tuttavia, ed è un dato di fatto, nei semplici poser o nei poliedrici performer di strada, la voglia di comunicazione con l’ampio pubblico è cresciuta a dismisura negli ultimi tempi. Spesso, le amministrazioni comunali mettono a disposizione aree o spazi pubblici in maniera tale da canalizzare l’impeto creativo dei writers . A dire la verità, è sorta l’esigenza dell’individuazione della Hall of fame, che potrebbe essere intesa come quel muro grezzo o ampio pannello sui quali è consentito l’uso della bomboletta spray, stencil, pennello e vernice, con debita liberatoria delle autorità competenti. Perciò, il writer è depositario di un codice e lo può rivelare visivamente con la potente suggestione delle dinamiche figure disegnate sui quadri viventi delle case, dei parchi, delle vie, dei ponti. Ecco che salta fuori la componente insostituibile della scrittura o della riscrittura interpretativa delle cose.
Una scorsa alla storia
D’altro canto, ripercorrere le tappe che, nel passato, portarono all’aggregazione dei nuclei tematici alla base del Graffitismo o della cosiddetta Arte di strada è un’operazione affascinante, è come inseguire le orme lungo un sentiero poco conosciuto di una certa esperienza umana. In tal modo, bisogna risalire addirittura agli anni quaranta del Novecento per rinvenire i prodromi di tale inclinazione estetica o fenomeno artistico denominato Graffitismo. Furono i soldati alleati della Seconda guerra mondiale a lasciare ovunque quello strano scarabocchio che recitava solennemente “Kilroy was here” (Kilroy è stato qui). Successivamente, l’antenato Kilroy passò il testimone ai rapidissimi pittori estemporanei, spesso sorpresi a comporre Back to Back (un immenso graffito che impegnava l’intera superficie del convoglio ferroviario, dalla motrice all’ultimo vagone) sui binari di Filadelfia e, di conseguenza, puniti severamente. Dopo, gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta sottendono il filo rosso all’evoluzione stilistica e comportamentale dei performers. In particolare, compaiono personaggi dei cartoni (puppets) che si muovono tra loop (nuvole) e tag (firme) della Wild Style (lettere, firme, caratteri in una commistione pittorica fatta di punte aguzze, deformazioni, contorsioni ed elementi decorativi complessi e spesso incomprensibili al fruitore). Quindi, si parla di Graffitismo, Aerosol -art, Spray art, StencilGraffiti, correnti si susseguono a correnti, che vanno a braccetto con la sottocultura dei ghetti newyorkesi della HipHop. Ma lascio la narrazione della vicenda, per certi versi, appassionante, agli esperti della Storia dell’Arte, i quali, di certo, ne sanno più di me. A quanto pare, emerge l’esigenza di operare una certa distinzione sostanziale tra i “pezzi” dei graffitari che appongono volutamente il/la proprio/a tag (termine traducibile con “firma” e che si avvale di entrambi i generi) nella precisa e forse presuntuosa intenzione di consegnarla ai contemporanei sotto forma di logo esportabile nella globalizzata visione del mondo e il Masterpiece ( l’opera di ottima fattura!) dei Writers. Infine, questi ultimi decidono di intraprendere un percorso critico e altamente comunicativo di contenuti criptici o in chiaro tramite la presenza/immanenza nelle piazze, sui muri, sulle postazioni dedicate alle loro performances. Insomma, essi tendono ad un accrescimento personale nella costante ricerca di autoformazione artistica. Comunque, ciò viene fatto senza necessariamente badare al lettering, ossia allo studio della lettera e delle sue nuove forme, personalizzate e sempre più all’avanguardia. Talvolta, le tendenze accennate, si accostano sino a confondersi: così Graffitismo e Street Art sembrano parlare la medesima lingua e condividere gli urgenti temi sociali e politici della contemporaneità.
Tiriamo le somme.
In ogni caso, la Street Art e, se si vuole, pure il Graffitismo rappresentano, per le nuove generazioni di artisti, una ricerca pionieristica nel campo del bello, perché no, dell’orrido, in riferimento ad un concetto di Arte che non sia mai intesa come privata, fine a se stessa o stancamente canonica. Al contrario, essa dovrebbe dare una piena visibilità all’affermazione, alla polemica, alla contestazione dei valori/disvalori del Terzo Millennio, alla denuncia dei malesseri di una società piatta e massificata, troppo spesso omologata alla mala politica. In questo preciso istante, il giovane volto dell’Arte contemporanea che detiene in sé una possente vis persuasiva e, anticonformistica com’è, si nutre dello spontaneo consenso delle genti. In tal senso, la pagina Graffitincittà è un mio contributo al variegato e, talvolta, controverso pianeta dove attecchisce e prospera l’Arte Urbana e del Graffitismo.
Salemi, 9 aprile 2018
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