Il 30 novembre, a Salemi, “Sant’Anniria lu micciulusu trasi e nesci di lu pirtusu“
Sul finire di novembre, a Salemi, si è soliti dire “A Sant’Anniria l’aranciu giannia“, ossia, nel giorno dedicato a Sant’Andrea, l’arancia si colora di giallo ed entra nella fase di maturazione. Tuttora qualcuno (compreso io che ho varcato il mezzo secolo) si ricorda poi di quelle grida che imperversano, a tarda sera, il 30 novembre, per le vie di Salemi che inneggiavano a Sant’Andrea. E tra il fracasso inaudito risuonava distinta quella curiosa frase urlata a più non posso: “Sant’Anniria lu micciulusu trasi e nesci di lu pirtusu“. Ma, tra un po’, vedremo di cosa si trattasse.
Un po’ di storia non guasta…
Intanto, diciamo subito che il nome Andrea ha una forte connotazione etimologica. Difatti, esso reca con se la quintessenza della virilità in quanto tale. Andrea (dal greco Ἀνδρέας – Andreas -) è derivato dal greco andréia che significa “virilità”, “forza”, “valore”, “mascolinità”. Altri affermano che quel medesimo Andréas scaturisca direttamente da ἀνήρ (anēr), ἀνδρός (andrós), ossia l’uomo conscio del possesso di un’indiscussa virilità. I Latini, invece, lo avrebbero chiamato vir, viri (uomo), che è un po’ diverso da homo, hominis (uomo), con un significato più generico quale uomo che fa parte della famiglia umana. Così come, alla stessa maniera, il termine greco più attinente a tale condizione diventa ἄνθρωπος (ánthropos), ἀνθρώπου (anthrópou). A parlare di tale nome, come una sorta di spontanea associazione d’idea, salta fuori la figura di Sant’Andrea. L’apostolo Andrea viene celebrato il 30 novembre con innumerevoli celebrazioni, manifestazioni d’affetto, feste dedicate in varie parti del mondo, proprio nel giorno che ne ricorda la morte. Il Santo porta con sé gli emblemi della croce decussata e le reti da pescatore. E bisogna accennare alla vita di Andrea per capirne il significato. Egli, figlio di Giona e fratello di Simone, nacque nell’antica città di Betsaida di Galilea, una città a nord del lago Tiberiade. Poi, ben presto, lo si ritrova a Cafarnao dove abbandonò le reti da pescatore per abbracciare con totale abnegazione la predicazione di Gesù. La sua successiva predicazione si svolse in varie parti e, per ultimo, nell’Acaia, una regione settentrionale del Peloponneso greco, ed, in particolare, nella città di Patrasso. Fu proprio a Patrasso che Andrea fu martirizzato il 30 novembre del 64 d.C. per aver, diciamo così, sfidato il proconsole Egea esaltando il mistero della Croce e praticamente accusandolo di palese empietà. Per tutta risposta, il proconsole, alquanto irritato dalla legittima protervia di Andrea, lo mandò a morte facendolo crocifiggere su una croce decussata, cioè avente due bracci a forma di X, in diagonale e non perpendicolari. Tale particolare croce poi, fu denominata “croce di Sant’Andrea”. Sì, proprio quella famosa che ricorre nei segnali stradali indicanti i passaggi tra strade e linee ferrate e nelle bandiere di origine anglosassone. Dopo il suo martirio, sulla figura dell’apostolo Andrea si addensò un alone di mistero intessuto a storie leggendarie e il suo culto si diffuse ovunque. Sant’Andrea diventò un santo amato dalle genti di ogni dove. La sua popolarità, crescente, affascinò molti regnanti del Medioevo che gli dedicarono innumerevoli chiese, soprattutto nella Francia dell’epoca delle Crociate. E cominciò a circolare l’immagine corale del “Santo Andrea” che, dotato di estremo coraggio, guidava, da condottiero indomito, le schiere dei Cristiani contro il Male e le orde invasate dei demoni. Insomma, l’apostolo “protocleto” (ossia “chiamato per primo da Cristo“) Andrea emerge come figura di spicco della Cristianità, dell’evangelizzazione, della conversione di interi popoli. Egli riesce a convertire i Daci (gli attuali Rumeni) interno al 50 d.C. e ancora oggi è il Santo Patrono della Romania. Quindi, scopriamo la sua forte presenza in Scozia (dove è venerato come patrono della nazione che ha preso in prestito la croce decussata del Santo come emblema della bandiera), in Ucraina, nell’isola di Malta. Oltre alla Scozia, è santo patrono della Grecia, della Russia, della Prussia, della città di Patrasso (dove sono custodite le sue reliquie) e di centinaia di città italiane. Ora, la festa di Sant’Andrea coincide pressappoco con la prima domenica dell’Avvento, ossia con il breve periodo che precede il Natale. Nell’immaginario collettivo essa si è configurata come la tipica festa invernale che precede il Capodanno e nella quale bisogna concentrare le risorse per scacciare tutta la negatività accumulatasi nel corso dell’anno. Ed è singolare, infatti, registrare, nel tempo e nei luoghi, la presenza o, meglio, la commistione di elementi sacri e profani, di profonda religiosità e oscuro paganesimo. Allora, la leggenda si mescola alle credenze e la suggestione si lega alle paure ancestrali delle genti: il quel preciso giorno l’inverno si fa più tenebroso, si popola di esseri malvagi, di demoni che spargono il male ovunque. Così il Santo protettore dei marinai e dei pescatori assurge al ruolo di guerriero indomito capace di ricacciare negli Inferi le figure immonde capeggiare da Satana. A tale proposito, è opportuno rammentare come l’apostolo Andrea, che è anche il patrono dei macellai e dei cordai, nei secoli prenda posta sui vessilli e le bandiere, sventolate sui campi di battaglie, dalle nobili casate di regnanti e condottieri medievali. Ciò probabilmente per quella suddetta fermezza d’animo, per lo spirito impavido dimostrato nel fronteggiare le schiere infernali. Tuttavia, il ruolo della gente deve essere netto : ognuno deve contribuire come può al successo della lotta, il sostegno al Santo deve essere incondizionato. È pure passata la considerazione del Santo di Patrasso come il gran custode del mondo dei trapassati e quello dei viventi. Proprio nella notte tra il 29 e 30 novembre gli spiriti hanno libero accesso, scorrazzano sulla Terra con tutte le nefaste conseguenze del caso. D’altronde i vivi tenteranno con qualsiasi stratagemma di esorcizzare le inevitabili influenze negative. Il nero e il bianco, l’inverno e la primavera, la vita e la morte nella storia dell’uomo che cerca di sopravvivere anche a sé stesso e ai propri limiti. Nascono in questo modo una serie di rituali, pratiche popolari, cantilene e filastrocche, comportamenti che si stratificano nella millenaria tradizione popolare. Una sommaria difesa nei confronti del buio, del male, della morte in quanto tale. Addirittura, in talune regioni d’Europa, la ricorrenza di Sant’Andrea, che ricade in quella fatidica data del 30 novembre, è in concomitanza con una festa invernale dedicata al lupo. E se ciò non bastasse ad alimentare l’alone di paganesimo che fa da cornice alla valenza prettamente religiosa, ecco emergere l’ennesima credenza popolare sul giorno del dies mortis di Sant’Andrea. Sempre la notte tra il 29 e 30 novembre (se non sbaglio, sempre in Romania) è nota come la notte degli spiriti. Esseri diabolici che spuntano fuori dalla terra nera per tormentare gli uomini, per rapire i bambini indifesi, per abbrutire le giovani donne, per distruggere mesi e mesi di duro lavoro agricolo. La malvagità di questi esseri era arcinota e alle famiglie non restava altro che chiudersi in casa e turare ogni spiraglio o buco della serratura che avrebbe potuto consentire loro di entrare. La superstizione diceva di usare aglio a più non posso per allentare la morsa dei demoni. Insomma, questa sorta di morti viventi dispettosi ed empi che calpestano i campi seminati diffondendo male gratuito hanno avuto ampia diffusione presso i popoli europei. In una specie di tam tam arcaico, l’eco delle loro azioni biasimevoli è giunto fino a noi.
La possente voce di Sant’Andrea in Salemi (TP)
Quindi, è spiegabile la remota tradizione salemitana de “lu scrusciu di Sant’Anniria” fracasso – frastuono), una bizzarra scorribanda di adolescenti che, con vocio e strepito infernali, contribuiscono alla cacciata fuori le mura della città dei famigerati demoni. Un contributo volontario all’azione salvifica già esercitata da Sant’Andrea. Ma vediamo di che si tratta. A Salemi, fino a qualche tempo fa, i ragazzi da 5 a 15 anni circa, nella settimana antecedente la festa di Sant’Andrea, erano in pieno fervore nel ricercare ovunque il materiale occorrente . In altre parole, “li lanni” cioè ogni sorta di barattolo di latta, lattine, lamiere, pentole sforacchiate, coperchi ammaccati, pitali arrugginiti, portiere di auto dismesse, cerchioni di biciclette e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, tutto quello che, essendo metallico o affine, poteva servire ad un preciso scopo: l’allestimento di lunghi “serpentoni sonori“. Il materiale veniva ripescato dagli scarti quotidiani degli esercenti locali, dalla spazzatura, dai ripostigli delle famiglie, dall’immondezzaio a cielo aperto del rione dove confluiva ogni bendidio di rifiuti degli abitanti nella passata epoca umana quando la raccolta differenziata dei rifiuti era del tutto sconosciuta. E la ricerca spasmodica dei barattoli e ammennicoli simili costava fatica e piacere a quelle piccole armate Brancaleone. Tra il puzzo nauseabondo dei letamai o il riciclo dell’usato quei monellacci reperivano un bell’armamentario che veniva occultato in luogo segreto fino allo scoccare dell’ora ics. Le latte venivano legate le une alle altre con fil di ferro o corde fino a formare una catena e si scatenava una sana competizione tra rioni della città. Non esisteva una motivazione al fare ma la fantasia regnava sovrana e chi realizzava il serpentone metallico più poderoso poteva ben accampare un prestigio personale, un valore, una sana spavalderia sul campo nell’aver vinto le insidie della notte. Forse con la convinzione di aver superato uno dei riti d’iniziazione propedeutici all’età adulta. Poi scattava il segnale convenuto: l’approssimarsi minaccioso delle ombre della sera che avvolgevano, d’un tratto, l’intera città. Allora Sant’Andrea, agli occhi della turbolenta marmaglia, sembrava materializzarsi sul suo fiero destriero a brandire la sacra spada della lotta ancestrale. Al suo comando, le bande dei quartieri si radunavano tra le viuzze acciottolate del Rabato o tra le “vanedde” (vicoli) delle baraccopoli di Via Giammuzzello o di contrada Gessi e intonavano al cielo l’urlo liberatorio della battaglia: “Sant’Anniria lu micciulusu, trasi e nesci di lu pirtusu”. Qualcuno mi riferisce che una vecchia variante contaminata prevedeva questa singolare versione: “Sant’Anniria, lu micciulusu, trasi e nesci di lu pirtusu e ora si nun ci dati li mustazzoli, si li pigghia li vostri figghioli”. La traduzione letterale è “Sant’Andrea, lo scapigliato, entra ed esce a suo piacimento da qualsiasi buco” come per dire che il Santo di Patrasso è stanotte tra noi, ovunque e comunque, a proteggerci da ogni insidia in questa notte buia e piena di presenze malefiche. Ma “micciulusu” nell’accezione popolare non significa soltanto “arruffato”, “scapigliato” bensì anche “vispo e dispettoso” quasi a dire che Sant’Andrea risponde con la medesima moneta a chi ha l’ardire di minacciare la comunità a lui fedele. E mentre noi riflettiamo sull’etimologia della parola, i “micciulusi” salemitani scatenano un’autentica sarabanda: corse forsennate tra le vie, strilla e urla a squarciagola, un fracasso inaudito di lunghissime fila di barattoli trascinate con veemenza, una bolgia che oggi sarebbe passibile di pena da schiamazzo notturno. Una pausa per riprendere fiato e poi ancora grida, “Viva Sant’Anniria, viva Sant’Anniria!” e la baraonda prosegue ad oltranza mentre le sbucciature sui ginocchi non si contano più. Qualche giovanissimo guerriero gronda un rivolo di sangue dal palmo della mano, ma la guerra è guerra! Lo scontro è durissimo, ma questa notte ad avere la peggio sarà l’orda del Demonio, nulla può al cospetto del valore dei “micciulusi”, baldi paladini al seguito del Santo. Infuria senza quartiere la battaglia e il rumoroso esercito lotterà fino allo sfinimento. Poi, come nell’ordine delle cose, tutto si ricompone, la partita è vinta e il nemico è sbaragliato e… rintronato!! L’ordinario subentra all’emergenza, all’urgenza, la pace dell’ameno luogo è finalmente ristabilita. Ora, la gente del borgo può dormire, alla buon’ora, sogni tranquilli. Adesso, i “picciotti”, sfiniti, logori, feriti e sporchi rientrano a casa dalla Crociata. Certo, quei ribaldi si beccano pure qualche solenne scapaccione da parte delle tanto adirate quanto prodighe e premurose madri, ma questa è un’altra storia. E, in parallelo, altrove, in altre parti d’Italia e d’Europa, le giovani in età da marito quella notte erano particolarmente ansiose di far bei sogni. Infatti, i sogni di quella magica notte potevano essere foriere di radicali cambiamenti: le antiche usanze prescrivevano di mettere mezza mela sotto il cuscino, poi di invocare con delle preghiere Sant’Andrea il quale, nella migliore delle ipotesi, si recava direttamente al capezzale della fanciulla e le comunicava l’identità del futuro sposo. Ed ora, mentre scrivo queste righe di un rito che fu, un curioso ricordo mi sovviene. Da ragazzo, credo sia stato al tempo in cui frequentavo le “scuole vasce” (i primi ordini di scuola, quelle che chiamavamo “le elementari”), il mio buon padre, profondo conoscitore delle tradizioni autoctone, il 30 di novembre di quell’anno che adesso mi sfugge, mi presentò, guarda caso, un suo ex alunno, che compiva l’onomastico, e sul serio e il faceto, lo invitò a dispensare un toccasana per il mio mal di gola. Ebbene, il ragazzo, contento e sorridente ma fondamentalmente serio per il ruolo di guaritore cui era stato chiamato, mi disse di mangiare, per tre volte consecutive, pane e formaggio, a piccoli bocconi. Un po’ riluttante, lo feci. Credo proprio che il tremendo mal di gola rimase a farmi compagnia per un po’ di giorni. Poi come era giunto, così sparì. Però, se avessi chiesto ulteriori spiegazioni, mi sarebbe stato, di certo, risposto che, secondo le ferree regole della tradizione popolare, l’insolita cura, alla distanza e alla sua maniera, aveva funzionato. Eh, sì, mai sfidare o smentire l’arcano ! Quello che rammarica, comunque, è il dover registrare con tristezza che “lu scrusciu di Sant’Anniria” ormai appartiene al polveroso libro dei ricordi dei tempi andati. Oggi, nella ridda confusa e convulsa delle “storielle” di Instagram e Facebook non trova posto il clangore delle “rumorate” dei “micciuluseddi” salemitani. Ora che abbiamo conquistato un’alta visibilità “very social”, detta usanza si presenta come troppo volgare, profondamente plebea.
https://gioacchinodibella.it/santanniria-di-li-sarmitaneddi/
Punti di contatto
Eppure, tra le pieghe dell’evoluta contemporaneità, affiora una riproposizione del tema, un fattore antropologico che non accenna a morire in altri contesti. Dopo una breve ricerca, ho rinvenuto il medesimo antichissimo rituale in altre città italiane. In qualche città della Tuscia (siamo nella provincia di Viterbo, per intenderci), e in particolare a Cellere (VT), ancora oggi si celebra il giorno di Sant’Andrea con il trasporto delle “Santandrea“, ossia lunghe file di barattoli che vengono condotte, con grande clamore e allegria, fino alla piazza principale. A Canino, altro comune del viterbese, il Santo patrono Andrea è festeggiato con la tradizione folcloristica de “la scampanata”. Anche qui i ragazzi del luogo trascinano lunghe fila di barattoli di metallo, per destare, con tutto lo schiamazzo provocato, il Santo che ricompenserà gli abitanti con potenti folate di vento. E il vento così imperioso servirà ad agevolare, il giorno successivo, la raccolta delle preziose olive da molitura. Lo stesso dicasi per il comune di Tessennano dove il frastuono dei barattoli ha delle affinità con quanto accadeva a Salemi. Ci risiamo. Ancora una volta, il suscitare clangore come funzione apotropaica condivisa cioè l’azione che è volta ad allontanare gli influssi maligni. E, per ultimo, come non ricordare la festa di Sant’Andrea nell’isola di Tenerife dell’arcipelago spagnolo delle Canarie. Qui, nel comune di Icod de los Vinos, la gente, soggiogata dagli effluvi del buon vino, durante la notte, si diverte a scivolare, con gran chiasso, su tavole di legno lungo l’erta della Calle del Plano. Invece, a Porto la Cruz, con la festa dei cosidetti Cacharros, ritroviamo la solita “rumorata” di barattoli e affini. Un divertimento coinvolgente che vede come protagonisti tutta la gente ivi presente, compresi i turisti appena arrivati.
Riflessioni finali
Adesso, mi chiedo se quel frastuono di “lanni” e quelle torme di allegri “micciulusi” potranno tornare, un giorno, ad animare le vie, i quartieri della mia Salemi. Forse, troppa acqua è scorsa sotto i ponti.
Salemi, 29 novembre 2018
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